di Massimiliano Sartirana, AIDAP Verona – Simona Calugi, AIDAP Firenze/Empoli
La partecipazione delle donne a sport è notevolmente aumentata nelle ultime decadi (NCAA, 2003). Indubbiamente il praticare attività fisica ha, per le donne, numerosi effetti benefici, incluso un miglioramento dell’immagine corporea, dell’autostima e della salute in generale (Smolak et al., 2000). Tuttavia, quando lo sport diventa competitivo non sempre è sinonimo di salute. In alcuni casi, i cambiamenti fisiologici e gli stress nutrizionali generati da un esercizio fisico strenuo possono portare gli atleti al limite tra il benessere e il danno fisico (Lukaski, 2004). Inoltre, la pressione a mantenere un basso peso corporeo, tipica di molti sport ad alto livello, può essere tale da portare un atleta più vulnerabile a sviluppare un’alimentazione disturbata, che compromette la performance sportiva e la salute fisica (Panza et al., 2007). L’alimentazione disturbata, insieme all’amenorrea e alla demineralizzazione ossea sono state considerate manifestazioni cliniche di una più complessa sindrome associata allo sport e definita “triade femminile dell’atleta” (Khan et al., 2002; Nattiv et al., 2007). Scopo dell’articolo è fornire una revisione aggiornata sulla triade femminile dell’atleta e di valutare quali temi dovranno ancora essere affrontati dalla ricerca e dai clinici.
La triade femminile dell’atleta
Il termine “triade femminile dell’atleta” è stato usato per la prima volta nel 1992 per descrivere un’associazione di amenorrea, osteoporosi e alimentazione disturbata tra le atlete di sesso femminile, in particolar modo atlete partecipanti a sport come la ginnastica, il balletto e le fondiste (Yeager et al., 1993). L’American College of Sports Medicine (2007) descrive la triade come un complesso insieme di interazione tra disponibilità energetica, stato mestruale e densità mineraria ossea, ognuna delle quali si presenta lungo un continuum tra la salute e la patologia (Figura 1).
Le componenti della triade
1. Disponibilità energetica
La disponibilità energetica è definita come la quantità di energia che rimane quando la spesa energetica dovuta all’esercizio fisico è sottratta dall’energia assunta attraverso l’alimentazione e aggiustata per la massa corporea magra. La disponibilità energetica può essere ridotta aumentando la spesa energetica con l’esercizio fisico o diminuendo la quantità dell’introito calorico. Negli sport di resistenza questo può avvenire inavvertitamente (es. una fondista che aumenta la distanza percorsa senza aggiustare il contenuto calorico della sua dieta) (Horvath et al., 2000; Stubb et al., 2004). Molti atleti, invece, riducono la disponibilità energetica intenzionalmente per ridurre la quantità di massa magra e favorire, così, il successo nella prestazione. Alcuni atleti praticano un’alimentazione disturbata arrivando a mettere in atto comportamenti non salutari di controllo dell’alimentazione come digiunare, saltare i pasti, vomitare e/o assumere pillole dimagranti, usare in modo improprio lassativi e diuretici, con l’obiettivo di controllare il peso e la composizione corporea e/o la prestazione fisica. Infine, per alcuni atleti, la bassa disponibilità energetica è la vera e propria espressione di un disturbo dell’alimentazione di gravità clinica che richiede un trattamento psicologico e una gestione medica (Rome, 2003).
2. Stato mestruale
I principali disturbi legati al ciclo mestruale vanno dalla presenza di deficit nella produzione di progesterone durante la fase luteale (deficit luteale), all’anovulazione (assenza di ovulazione), fino ad arrivare all’oligomenorrea (intervalli di oltre 35 giorni tra un ciclo e l’altro) e all’amenorrea (assenza di tre cicli mestruali consecutivi). Varie ricerche indicano che i disturbi legati al ciclo mestruale si verificano più frequentemente nelle atlete che nella popolazione generale (Otis, 1992). L’amenorrea causata dalla bassa disponibilità di energia è classificata come amenorrea funzionale ipotalamica. In questo tipo di anomalia mestruale, la funzione ovarica è soppressa da una frequenza più bassa del normale dell’ormone luteinizzante (LH) che circola nel sangue (Wade & Jones, 2004).
La prevalenza dell’amenorrea varia molto in base allo sport effettuato, all’età, al volume dell’allenamento e al peso corporeo (Redman & Loucks, 2005).
3. Densità minerale ossea
La terza componente della triade femminile dell’atleta riguarda la salute ossea che può variare da un osso sano a una bassa densità minerale ossea, all’osteopenia e infine all’osteoporosi, definita, quest’ultima, come una inadeguata formazione dell’osso durante l’adolescenza e prematura perdita di osso in età adulta che si manifesta con una bassa massa ossea e un aumentato rischio di frattura. Tipicamente il picco di massa ossea si raggiunge tra 18 e i 25 anni di età. Dopo aver raggiunto il picco di massa ossea, sia gli uomini sia le donne perdono massa ossea a un tasso compreso tra 0,3 e 0,5% per anno. Durante la menopausa la percentuale di perdita di massa ossea sale fino a raggiungere valori che si aggirano intorno al 3% per anno per i primi 10 anni, per poi tornare intorno allo 0,3%.
Le atlete possono riportare una perdita di massa ossea dal 2% al 6% per anno con picchi che raggiungono il 25% della massa totale ossea. Una giovane atleta può avere la massa ossea di una donna di 60 anni ed essere quindi esposta, ad un rischio tre volte maggiore di fratture rispetto a una donna della stessa età. Drinkwater et al. (1990) hanno riportato che la densità minerale ossea era significativamente più bassa nelle atlete con una storia di cicli mestruali irregolari nel corso della vita e che esiste una relazione tra irregolarità mestruali e densità minerale ossea vertebrale. Marcus e colleghi (1985) hanno riportato che la densità minerale ossea vertebrale nelle atlete con amenorrea era del 20% più bassa rispetto alle atlete sane e del 10% più bassa rispetto alle non atlete di età simile con un regolare ciclo mestruale. Altri studi hanno suggerito che anche la massa periferica dell’osso è più bassa nelle atlete con amenorrea rispetto a quelle con ciclo mestruale regolare (Rencken et al, 1996).
Conseguenze della triade femminile dell’atleta sulla salute
Lunghi periodi di bassa disponibilità energetica, possono compromettere la salute fisica ed emotiva dell’atleta. Le conseguenze mediche secondarie alla triade femminile dell’atleta sono principalmente di natura cardiovascolare (disfunzione endoteliale), endocrina, riproduttiva, gastrointestinale, renale e neurologica (sistema nervoso centrale). In diversi studi sono stati discussi gli effetti negativi di una rapida perdita di peso e gli effetti di lunghi periodi di restrizione alimentare calorica sulla crescita, sulla prestazione sportiva, sulla funzione cognitiva e sulla salute. Sono stati descritti anche effetti sulla funzione del sistema immunitario, ma le maggiori conseguenze mediche della triade sull’atleta riguardano le fratture ossee legate all’osteoporosi. L’irregolarità mestruale, l’età, la densità minerale ossea, l’etnia, l’intensità dell’allenamento, il fumo e l’alcool sono tutti fattori associati a un aumentato il rischio di fratture ossee (Manore et al., 2007).
Ancora poco è conosciuto l’effetto dell’irregolarità mestruale sulla funzionalità muscolo-scheletrica e sulla forza (Rickenlund et al., 2005a; Rickenlund, et al., 2005b).
Prevalenza della triade femminile dell’atleta nella popolazione sportiva
Numerosi studi hanno stimato la prevalenza delle singole componenti della triade dell’atleta, ma solo pochi hanno valutato la prevalenza contemporanea delle tre componenti (Lauder et al.1999, Cobb et al., 2003). Uno studio controllato su una popolazione di atlete d’elite norvegesi ha dimostrato che il 4,3% soddisfaceva i criteri per la triade femminile dell’atleta. Se era considerata la presenza di due delle tre componenti della triade, la prevalenza saliva al 5% fino a raggiungere il 27% (Torstveit & Sundgot-Borgen, 2005a). Risultati simili sono stati trovati in atlete di livello più basso (Nichols et al., 2006; Beals & Hill, 2006).
Due studi più recenti hanno mostrato come oltre il 70% degli atleti di elite che gareggiano in sport che comportano una classificazione in base al peso stessero seguendo una dieta e adottassero comportamenti alimentari inappropriati per perdere peso, prima della competizione (Oppliger et al., 1996; Torstveit & Sundgot-Borgen, 2005a). Altri studi hanno anche riportato una più alta frequenza di comportamenti alimentari non salutari nelle atlete che gareggiavano in sport che enfatizzano la magrezza o un basso peso corporeo (Rosendahl et al., 2009; Holm-Denoma et al., 2009). La prevalenza di comportamenti alimentari non salutari era del 10% per sport di resistenza, del 17% per sport che richiedono una classificazione del peso e del 42% per sport antigravitazionali (Rosendahl et al., 2009).
Fattori di rischio per lo sviluppo della triade femminile dell’atleta
Tutti gli atleti di sesso femminile sono potenzialmente a rischio di sviluppare la triade femminile dell’atleta, ma le atlete che competono in sport in cui la magrezza e/o il basso peso corporeo sono considerati importanti per la prestazione, hanno un rischio più elevato (Nattiv, 1994). Uno studio recente che ha valutato la presenza di fattori di rischio della triade femminile dell’atleta e ha confrontato 669 atleti con 607 controlli ha concluso che le donne sono classificate a rischio della triade in un rapporto di oltre 6 a 10, con minime differenze tra le atlete di elite e quelle che fanno attività non-competitive. Inoltre, la percentuale di rischio è più alta in atlete che gareggiano in sport in cui è richiesta la magrezza e nei non atleti, rispetto ad atleti che competono in sport in cui non è richiesto un corpo magro. Gli autori hanno anche stilato un elenco di criteri per l’individuazione del rischio di sviluppare la triade femminile dell’atleta. Tale elenco include: l’indice di massa corporea minore di 18,5, comportamenti non salutari di controllo del peso (uso di pillole dimagranti, uso di farmaci per ridurre la fame, vomito, uso improprio di lassativi e diuretici), la presenza di insoddisfazione corporea e di impulso alla magrezza, la presenza di una disfunzione mestruale, la presenza di un disturbo dell’alimentazione, la presenza di fratture ossee (Torstveit & Sundgot-Borgen, 2005b).
Tutti gli altri studi si sono focalizzati sull’analisi delle singole componenti della triade femminile dell’atleta e hanno individuato specifici fattori di rischio. In particolare, i principali fattori di rischio per lo sviluppo di un’alimentazione disturbata sono stati suddivisi in due categorie. La prima include fattori di rischio generali presenti in atleti e in non atleti e la seconda include fattori di rischio specifici dell’atleta (Wilson et al., 2002). In questa seconda categoria sono presenti caratteristiche di personalità, la pressione a perdere peso che induce a restringere l’alimentazione e/o a frequenti variazioni di peso, un’età precoce per l’inizio dell’allenamento specifico, infortuni, segnali di sovra-allenamento e l’impatto del comportamento dell’allenatore (Sundgot-Borgen, 1994; Smolak et al., 2000). Riguardo i fattori legati alla personalità, Thompson e Sherman (1999) hanno suggerito che alcuni tratti dell’atleta sono ben accettati dagli allenatori (definiti anche tratti del “buon atleta”) perché essenziali per il successo nelle competizioni. Questi tratti sono simili a quelli che si osservano nei soggetti con un disturbo dell’alimentazione come, ad esempio, l’esercizio fisico eccessivo e compulsivo, il perfezionismo, l’eccessiva compiacenza, la tendenza al forte impegno e tendenze ossessivo-compulsive (Leon, 1991). Queste caratteristiche e i comportamenti che ne conseguono tendono inoltre, a essere rinforzati nell’ambiente sportivo. Spesso un’iniziale perdita di peso può determinare un miglioramento della prestazione e questo può spingere l’atleta (e anche gli altri che lo osservano) a continuare gli sforzi per controllare il peso.
I principali fattori di rischio per lo sviluppo di disfunzioni mestruali o di bassi livelli di densità minerale ossea possono essere legati direttamente a un’alimentazione disturbata, ma anche a un’eccessiva attività fisica e a un inizio dell’attività agonistica a un’età troppo giovane quando l’impatto dell’allenamento sulla densità minerale ossea e sulle funzioni mestruali è maggiore (Nichols et al., 2007). Di seguito nella tabella 1 sono elencati in modo sintetico i potenziali fattori di rischio per lo sviluppo della triade femminile dell’atleta e quelli per le singole componenti della triade.
L’American College of Sports Medicine (2007), inoltre, ha confermato che le donne che partecipano a sport che enfatizzano un basso peso corporeo sono a maggior rischio di sviluppare una o più delle componenti della triade femminile dell’atleta e ha proposto un elenco di discipline sportive potenzialmente rischiose (Tabella 2).
Tabella 1. I fattori di rischio potenziali per la triade femminile dell’atleta e le sue componenti
Fattori di rischio per la triade femminile dell’atleta
- Indice di massa corporea (IMC) < 18,5
- Comportamenti non salutari di controllo del peso
- Insoddisfazione corporea e impulso alla magrezza
- Disfunzione mestruale
- Disturbo dell’alimentazione
Fattori di rischio dell’alimentazione disturbata
- Perfezionismo
- Eccessiva compiacenza
- Tendenze ossessivo compulsive
- Pressione ambientale a perdere peso
- Età precoce d’inizio di un allenamento specifico
Fattori di rischio per lo sviluppo di disfunzioni mestruali o di bassa densità minerale ossea
- Alimentazione disturbata
- Attività fisica eccessiva
- Inizio attività agonistica in giovane età
Tabella 2. Discipline sportive potenzialmente rischiose per la triade femminile dell’atleta
- Sport in cui è valutata la prestazione individuale (es. la danza, il pattinaggio artistico e la ginnastica artistica).
- Sport di resistenza che favoriscono partecipanti con un basso peso corporeo (es. le corse di lunga distanza, il ciclismo, e lo sci di fondo).
- Sport il cui l’abbigliamento per la competizione rivela la forma del corpo (es. la pallavolo, il nuoto, i tuffi e la corsa).
- Sport che usano le categorie di peso per la partecipazione (es, la corsa cavalli, le arti marziali e la lotta).
- Sport in cui una forma corporea pre-puberale favorisce il successo (il pattinaggio artistico, la ginnastica artistica e i tuffi).
Valutazione diagnostica
Gli atleti, e in particolar modo gli atleti d’elite, costituisco una popolazione “speciale” che richiede considerazioni diagnostiche “speciali” (Thompson & Sherman, 1993; Beals & Manore, 1994; Sundgot-Borgen, 1996). La valutazione dell’alimentazione disturbata negli atleti deve andare oltre la diagnosi di disturbo dell’alimentazione, infatti, negli atleti è fondamentale capire se i comportamenti alimentari anomali siano transitori e dovuti a richieste specifiche dello sport oppure siano persistenti e quindi l’espressione di un disturbo dell’alimentazione di gravità clinica. Un assessment completo, per identificare le tre componenti della triade femminile dell’atleta, dovrebbe includere la raccolta di informazioni sulla storia mestruale, sulla storia dell’attività fisica, sui comportamenti alimentari passati e attuali in relazione al peso, sui livelli di eventuali preoccupazioni per il peso e la forma del corpo. Dovrebbe, inoltre essere calcolata la stima della disponibilità energetica, condotto uno screening biochimico, valutato lo stato del ferro nel sangue e, infine, condotta una densitometria ossea per la valutazione della densità minerale dell’osso.
Indicazioni per il trattamento della triade femminile dell’atleta
In generale, il miglioramento complessivo della disponibilità energetica dell’atleta può essere la chiave per affrontare i problemi mestruali e la bassa densità minerale ossea nelle atlete. Studi case-series indicano che le atlete quando costrette al riposo per infortunio o quando smettono di fare sport migliorano lo stato mestruale e la densità minerale ossea. Il problema è che molte atlete non vogliono interrompere l’allenamento o recuperare troppo peso per ripristinare il normale stato mestruale. Per tale motivo è necessario un piano d’intervento che migliori il bilancio energetico aumentando la quantità di energia introdotta o riducendo la spesa energetica dovuta all’attività fisica (es. inserendo un giorno di riposo al loro piano di allenamento) oppure entrambi, senza determinare drastici cambiamenti nel peso. Aumentare la quantità di energia totale giornaliera disponibile con moderati cambiamenti dell’alimentazione può essere l’approccio più facile, anche se nessuno studio ne ha definitivamente dimostrato l’efficacia, e non sia chiaro su quali atleti potrebbe avere effetti benefici e quanto tempo servirà perché si verifichino i cambiamenti nella funzione mestruale e nelle densità minerale ossea (Drinkwater et al., 2005).
Solo due studi pilota hanno affrontato questi aspetti (Dueck et al., 1996; Kopp-Woodroffe et al., 1999), mostrando che il miglioramento del bilancio energetico e della disponibilità energetica nelle atlete con amenorrea determinava il recupero del ciclo mestruale, con un modesto recupero ponderale (1,0 -2,7 kg). Per le atlete che recuperavano il ciclo mestruale, la densità minerale ossea migliorava significativamente a livello del collo femorale e della colonna lombare, mentre la cortisolemia diminuiva del 33% e gli ormoni riproduttivi aumentavano. I partecipanti nei loro resoconti riportavano un miglioramento complessivo della vitalità, della concentrazione mentale e dello stato emotivo.
Diversi studi hanno valutato la terapia con contraccettivi orali o con estrogeni come metodo per il miglioramento delle disfunzioni mestruali e della densità minerale ossea. Una revisione sistematica che ha incluso nove studi con donne con amenorrea ipotalamica funzionale associata all’esercizio fisico trattate con contraccettivi orali o con estrogeni ha evidenziato qualche miglioramento nella densità minerale ossea, ma il trattamento non determinava un recupero della massa ossea rispetto ai controlli confrontati per età (Vescovi et al., 2008). Un altro recente studio eseguito su 150 fondiste competitive tra i 18 e i 26 anni assegnate a random a una condizione di trattamento con contraccettivi orali o a una di controllo per 2 anni, ha evidenziato che l’assunzione di contraccettivi orali non influenzava significativamente l’incidenza di fratture sia nelle fondiste oligomenorroiche, sia in quelle amenorroiche sia in quelle con un ciclo regolare (Cobb et al., 2007).
Dal punto di vista psicologico, la terapia con contraccettivi orali determina un falso senso di sicurezza sia per il professionista che ha in carico il paziente sia per il paziente stesso. Infatti, il ritorno del ciclo mestruale con i contraccettivi orali non indica che il paziente ha recuperato dal suo deficit nutrizionale dato che questo trattamento maschera l’amenorrea e l’eventuale psicopatologia sottostante. Per questo motivo il trattamento con contraccettivi orali dovrebbe essere interrotto nei pazienti che sono complianti con la terapia. Nel caso in cui sia accertata la presenza di un’alimentazione disturbata, l’atleta dovrebbe avere come riferimento un nutrizionista dello sport che faccia una valutazione nutrizionale, una pianificazione dei pasti e che si concentri sugli aspetti educativi per aiutare l’atleta a comprendere le necessità dell’alimentazione per un buono stato di salute e una prestazione ottimale. Se l’atleta non fosse in grado o motivato a seguire le indicazioni del nutrizionista e/o del medico dovrebbe essere valutata la presenza di un disturbo dell’alimentazione ed eventualmente essere inviato a un’equipe multidisciplinare con esperienza nel trattamento di tali disturbi. In questi casi, la decisione di continuare l’allenamento e la competizione dovrà essere presa in base al caso singolo. Se l’allenamento è permesso, dovrebbe essere spiegato all’atleta che l’esercizio fisico non dovrà essere utilizzato come mezzo di controllo del peso e della forma del corpo. I criteri affinché l’atleta possa mantenere un allenamento dovrebbero includere: a) essere ingaggiati nel trattamento, in accordo con il piano terapeutico e progredire verso obiettivi terapeutici, b) mantenere un peso di almeno il 90% di quello atteso e una percentuale di grasso corporeo maggiore al 6% per gli atleti maschi e maggiore al 12% per le atlete e, se prescritto dall’equipe c) mangiare sufficientemente per recuperare il peso o per mantenere il peso. Per gli atleti che rifiutano il trattamento, l’allenamento e la competizione dovrebbero essere negati fino a quando non saranno d’accordo con il piano terapeutico.
È stato dimostrato che la prognosi è migliore quando gli atleti sono disposti a seguire le indicazioni del trattamento e coinvolgono nella cura anche l’allenatore e i familiari (Beals, 2004). Il coinvolgimento degli allenatori nel trattamento di un disturbo dell’alimentazione nell’atleta è considerato fondamentale. Gli allenatori sono i primi a poter monitorare i comportamenti e le reazioni dei loro atleti. Va considerato però che possono avere difficoltà a discutere aspetti legati al disturbo dell’alimentazione sia con l’atleta sia con l’equipe specialistica. Tale difficoltà nasce generalmente da sensazioni di colpa per le espressioni comportamentali del disturbo dell’alimentazione dell’atleta. È importante, per l’equipe terapeutica essere attenta a evitare di instillare la colpa negli allenatori, ma a fare in modo che questi ultimi diventino un supporto per il miglioramento terapeutico dell’atleta (Sundgot-Borgen and Torstveit, 2010).
Conclusioni
Negli ultimi anni la ricerca sulla triade femminile dell’atleta è aumentata e sempre maggiori sforzi sono stati fatti nel tentativo di definire meglio la sindrome e individuare le conseguenze e i rischi ai quali gli atleti, soprattutto quelli di alto livello, vanno incontro. Ancora molta strada deve essere fatta, dato che tale sindrome, seppur variamente descritta in letteratura, non ha riconoscimento ufficiale tra le patologie di interesse psichiatrico e psicologico ed è ancora poco conosciuta non solo tra i professionisti, ma anche tra gli atleti e tutti coloro che gravitano intorno al mondo dello sport. Siamo ancora lontani dal capire se la triade femminile dell’atleta sia una patologia a sé stante o possa essere considerata una manifestazione di un disturbo dell’alimentazione.
La ricerca ha l’importante compito di far luce sull’efficacia degli interventi terapeutici e valutare se il modello di terapia proposto per pazienti con disturbi dell’alimentazione possa essere adattato al trattamento della triade femminile dell’atleta, oppure siano necessari interventi di altro tipo.
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